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RICHIAMO ALLA NORMATIVA TECNICA SUL NAVIGLIO DA DIPORTO E ALLE PROCEDURE DA APPLICARSI PER GLI ACCERTAMENTI DELLA RISPONDENZA ALLE NORME.

RICHIAMO ALLA NORMATIVA TECNICA SUL NAVIGLIO DA DIPORTO E ALLE PROCEDURE DA APPLICARSI PER GLI ACCERTAMENTI DELLA RISPONDENZA ALLE NORME.

Il Registro delle unità da diporto della Repubblica di San Marino stabilisce un preciso richiamo alla Direttiva 94/25/CE, emendata dalla Direttiva 2003/44/CE, ai fini dell’iscrizione delle imbarcazioni da diporto,  al relativo rilascio del certificato di sicurezza e successivi aggiornamenti. In sintesi, la citata Direttiva, pur non essendo stata ufficialmente ratificata, è entrata di fatto nel diritto “nautico” sammarinese.

A)  Sulla Direttiva 94/25/CE- 2003/44/CE

Per quanto riguarda in particolare la progettazione delle unità, debbono essere anzitutto considerati quali sono i requisiti essenziali che la direttiva ritiene debbano essere soddisfatti, e cioè:

  • sicurezza
  • sanità
  • protezione dell’ambiente
  • protezione dei consumatori,

considerando l’interdipendenza dei due primi requisiti, e che i concetti di protezione dell’ambiente e dei  consumatori non interessano esclusivamente gli utilizzatori dei mezzi da progettare, ma più estesamente tutti i fruitori degli spazi acquei interessati e la popolazione in linea generale.
            La prova della rispondenza del prodotto ai requisiti è elemento essenziale per ottenere la marcatura CE, e questo avviene principalmente con l’applicazione delle “norme armonizzate”, che costituisce quindi presunzione di conformità. L’impiego di dette norme non è però indispensabile a questo scopo, ma se il fabbricante decide di adottare norme diverse per la progettazione del prodotto esso ha l’obbligo di dimostrarne la conformità con altri mezzi di sua scelta.
Per “norma armonizzata” si intende una norma adottata dagli organismi europei di normalizzazione sulla base di un mandato conferito dalla Commissione, che nel caso della nautica da diporto è stato conferito al Comitato Europeo di Normalizzazione  CEN.  Gli Stati della Comunità debbono recepire le norme nella legislazione nazionale, anche in sostituzione di analoghe norme nazionali in precedenza esistenti.

PROVA  DI  CONFORMITA’

La soddisfazione ai requisiti essenziali consente di attribuire ai natanti una delle seguenti Categorie di progettazione, che hanno lo scopo di differenziare i livelli di rischio ammissibili con la costruzione, avendo come elemento principale di giudizio non più la distanza dalla costa che l’unità può attingere con sicurezza, ma l’altezza significativa delle onde e la forza del vento nel tratto di mare in cui tali eventi sono prevedibili. Le unità possono quindi essere certificate in una delle seguenti categorie di progettazione:
A – In alto mare: progettate per viaggi di lungo corso, in cui la forza del vento può essere superiore ad 8 (scala Beaufort) e l’altezza significativa delle onde superiore a 4 metri
B – Al largo: progettate per crociere d’altura, in cui la forza del vento può essere pari a 8 e l’altezza significativa delle onde può raggiungere 4 metri
C – In prossimità della costa: progettate per crociere in acque costiere , grandi baie, estuari, fiumi e laghi, in cui la forza del vento può essere pari a 6 e l’altezza significativa delle onde può raggiungere 2 metri
D – In acque protette: progettate per crociere su piccoli laghi, fiumi e canali, in cui la forza del vento può essere pari a 4 e l’altezza significativa delle onde può raggiungere 0.50 metri.
Per quanto concerne i componenti delle unità, la direttiva prescrive per cinque di essi una distinta valutazione della conformità, sia che esistano separatamente sia che vengano incorporati nel prodotto finto. Essi sono:

  • protezione antincendio per motori entrobordo ed entrofuoribordo
  • dispositivo che impedisce l’avviamento dei motori fuoribordo con marcia

innestata

  • timone a ruota, meccanismo e cavi di comando
  • serbatoi e tubazioni del carburante
  • boccaporti e oblò prefabbricati.

In rapporto con la categoria di progettazione che s’intende attribuire all’unità, od alle caratteristiche tecniche che il prodotto deve possedere per soddisfare alla normativa CE, il costruttore deve seguire le procedure tecniche e amministrative relative ai Moduli di valutazione, dei quali sono di seguito descritti i più usati.
Una procedura particolare deve essere adottata per il rilascio dell’attestazione di conformità relativamente ad una unità costruita prima dell’inizio degli accertamenti (conformità “post costruzione”).
Modulo A bis: è la certificazione che un Organismo notificato presso la Comunità ha verificato con opportune prove, i requisiti essenziali di stabilità, bordo libero e galleggiabilità, in unione con la dichiarazione Modulo A del fabbricante.

Modulo B: è la certificazione che un Organismo ha verificato che il prototipo (di una unità o di componenti di essa) è stato costruito in conformità alle disposizioni della direttiva comunitaria.

Modulo C: è la dichiarazione del costruttore che i prodotti di serie sono conformi al prototipo oggetto del modulo B.

Modulo F: in unione con il modulo B, è la certificazione che l’Organismo ha proceduto con esami e prove, sul singolo prodotto o con rilievi statistici sull’insieme della produzione, alla verifica che il prodotto è conforme alla normativa CE.

Modulo G: è la certificazione che l’Organismo ha proceduto con esami e prove alla verifica della conformità del prodotto non di serie ai requisiti della direttiva CE.

L’emissione del certificato CE è subordinata alla verifica dell’apposizione sull’imbarcazione della targhetta del costruttore e d’identificazione dello scafo, e alla verifica del manuale del proprietario.  Si espone lo schema della “targhetta del costruttore” con i dati di base che dovranno essere inseriti ai sensi della direttiva 94/25/CE (come modificata dalla direttiva 2003/44/CE).

Targhetta del costruttore

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La targhetta deve riportare caratteri  le cui dimensioni minime sono:
5 mm in altezza per lettere  numeri.
8 mm in altezza per marchio CE e pittogrammi

La targhetta deve essere inamovibile e realizzata in modo che qualsiasi alterazione intervenga dopo la sua applicazione possa risultare evidente.
Deve essere collocata, ben visibile, nel pozzetto o  vicino al posto di governo principale.
Segue  schema del codice d’identificazione dello scafo CIN (craft Identification number)

 

 

XXX: codice del costruttore (se non è noto, deve essere richiesto all’Autorità italiana)
YYYYY: numero di matricola dello scafo
K: mese di costruzione dell’unità
§: ultima cifra dell’anno di costruzione dell’unità (es: 8= 1998)
: ultime due cifre dell’anno del modello (es: 98= 1998)

I caratteri devono essere di almeno 6 mm di altezza
Devono essere realizzate almeno due “targhette”. Una deve essere collocata sul lato esterno dello specchio di poppa, o vicino alla poppa entro 50 mm dalla sommità dello specchio di poppa, dal capo di banda, dal giunto scafo/ponte o dal suo coprigiunto, a seconda di quale sia l’elemento più basso.
Una seconda targhetta deve essere collocata su una parte inamovibile dello scafo in una zona recondita e nota solo al responsabile dell’immissione nell’AEE dell’unità.
Ambedue le targhette devono  essere inamovibili e realizzate in modo che qualsiasi alterazione intervenga dopo la loro applicazione possa risultare evidente.

MISURE  DELLO  SCAFO

Per la corretta esecuzione di alcuni accertamenti è necessario che sia ben conosciuta la normativa vigente al riguardo, e a tal proposito si ritiene opportuno richiamare le regole che riguardano alcune grandezze tra le più significative e relativamente alle quali si rilevano talvolta incertezze interpretative.

Lunghezza massima Lmax
La lunghezza massima, Lmax deve essere misurata in conformità al punto 5.2 della norma UNI ENI ISO 8666, riferendoci ad un piano verticale immaginario tangente alla parte più prodiera e ad un altro alla parte più poppiera dell’unità.
Questa lunghezza include tutte le parti strutturali e integrali dell’unità, quali prue o poppe di legno, plastica o metallo, impavesate e giunzioni scafo/ponte; essa include anche parti non strutturali dello scafo che sono generalmente fisse, quali antenne d’alberatura fisse, bompressi, pulpiti a ciascuna estremità dell’unità, accessori della testa di ruota, timoni, staffe dei motori fuoribordo, motori entrofuoribordo, idrogetti e qualsiasi unità di propulsione che si estenda oltre lo specchio di poppa, piattaforme di immersione e imbarco, bottazzi e parabordi permanenti.
I motori entrofuoribordo, gli idrogetti, altre unità di propulsione e tutte le parti mobili devono essere misurati nella propria condizione operativa abituale nella loro massima estensione longitudinale quando l’unità è in navigazione.
Questa lunghezza esclude però:
– motori fuoribordo;
– qualsiasi altro tipo di attrezzatura che può essere staccata senza l’utilizzo di utensili.
 
Lunghezza dello scafo  LH
La lunghezza dello scafo, LH, deve essere misurata, con un piano che attraversa la parte più prodiera dell’unità e l’altro che attraversa la parte più poppiera dell’unità.
Questa lunghezza include tutte le parti strutturali e integrali dell’unità, quali prue o poppe di legno, plastica o metallo, impavesate e giunzioni scafo/ponte.
Essa esclude invece le parti rimovibili che possono essere staccate in modo non distruttivo e senza influire sull’integrità strutturale dell’unità, per esempio, alberi, bompressi, pulpiti a ciascuna estremità dell’unità, accessori della testa di ruota, timoni, piedi dei motori entrofuoribordo, motori fuoribordo e relative staffe e piastre di supporto, piattaforme di immersione, piattaforme di imbarco, bottazzi e parabordi.
Questa lunghezza non esclude però le parti staccabili dello scafo che fungono da supporto idrostatico o dinamico quando l’unità è a riposo o in navigazione.
Con unità multiscafo, la lunghezza di ciascuno scafo deve essere misurata individualmente. La lunghezza dello scafo, LH, deve essere presa come la più lunga delle singole misure.

Altezza di costruzione , pescaggio, bordo libero
Sono misure verticali dello scafo da verificare attenendosi agli schemi riportati in tabella, avendo ben presente se trattasi di misure massime (in genere partenti dal fondo della deriva) ovvero di misure altrimenti considerabili, come quelle che si riferiscono al vero e proprio scafo, e quindi limitate inferiormente dalla base della carena (linea di costruzione).
L’altezza di costruzione (denominata “profondità” nelle tabella UNI EN ISO 8666)  non è perfettamente definita nella tabella stessa, la quale non precisa a quale ponte tale altezza deve essere misurata; è evidente, però, che l’altezza di costruzione va limitata al ponte principale, che è normalmente quello di coperta, escludendo quindi misure che interessino le sovrastrutture: deve cioè essere evitato  l’errore di considerare l’altezza di costruzione come indicativa dell’altezza totale dell’unità, comprensiva quindi delle sovrastrutture.
Quando si citi il bordo libero a mezza lunghezza dello scafo, si abbia presente che esso sommato all’immersione nello stesso punto deve corrispondere all’altezza di costruzione.
Per il pescaggio occorre verificare la correttezza dei dati talora riportati sui documenti dell’unità, in quanto tale misura deve, generalmente, essere presa dalla linea di costruzione, e quindi vanno trascurate appendici più profonde (ad esempio, eliche, timoni, derive e simili), salvo che ciò non sia richiesto esplicitamente dalla normativa da applicarsi nel caso specifico.
Le prove prescritte per verificare l’altezza e l’angolo di allagamento hanno lo scopo di dimostrare che esistono margini sufficienti di bordo libero a pieno carico prima che si imbarchi acqua dalle aperture, e che esista un margine sufficiente dell’angolo di inclinazione trasversale prima che l’acqua possa penetrare all’interno , sia a pieno carico che nella condizione operativa minima.
La resistenza alle onde ed al vento e l’inclinazione trasversale dovuta al vento vengono valutate, a seconda della categoria di progettazione richiesta, sia con l’uso dei diagrammi di stabilità sia con calcoli che considerino valori standard della velocità del vento e dei momenti inclinanti da questo provocati.
Considerazione particolare va fatta per l’indice di stabilità (STIX) la cui verifica viene richiesta per le unità a vela. E’ un metodo per ottenere una valutazione complessiva delle proprietà di stabilità mediante la considerazione di alcuni fattori che ci informino:

  • sull’energia raddrizzante da vincere in caso di incidente di stabilità
  • sulla capacità di raddrizzamento dopo un capovolgimento
  • sulla capacità di far fuoruscire l’acqua dalle vele dopo uno sbandamento
  • sull’effetto favorevole del peso sulla resistenza al ribaltamento
  • sulla vulnerabilità al ribaltamento con mare al traverso
  • sul rischio di allagamento per raffiche di vento che inclinino l’unità
  • sul rischio di allagamento in uno sbandamento.

Mediante una formula risolutiva che combina i diversi valori sopra indicati si ottiene un parametro che deve essere confrontato con valori standard per determinare la categoria di progettazione che può essere assegnata alla barca

IMPIANTO  DI  PROPULSIONE

Data la vastità dell’argomento, riguardante motori entrobordo, entrofuoribordo e fuoribordo, non è in questa sede possibile riassumerne anche solamente gli elementi principali, per i quali si rimanda quindi alle trattazioni specializzate, salvo richiamare l’attenzione sulla norma armonizzata 11592 con cui si determina la massima potenza installabile sull’unità.
A maggior chiarimento della voce “caratteristiche di manovra” si segnala lo schema della prova cui vengono assoggettate le unità per la verifica della idoneità della potenza motrice installata, prova prescritta peraltro solo per unità di lunghezza non superiore a 8 metri; nel caso di esito non positivo per avvenuto superamento del tracciato, è ancora possibile accertarne la rispondenza con l’impiego di una potenza ridotta allo 85%, ma di questa limitazione necessita dare conoscenza sul Manuale del proprietari
Con la variante 2003/44/CE, e le norme armonizzate che le concernono è stata introdotta nella Direttiva la necessità di verifiche sulle imbarcazioni e sui motori circa la rispondenza delle emissioni di gas e rumori.
I prodotti presenti nei gas di scarico emessi dai motori di propulsione delle unità da diporto debbono essere conformi alla normativa europea e debbono essere verificati a tal riguardo sia nei motori destinati ad essere installati su tali unità, comprese le moto d’acqua, sia nei motori di nuova sistemazione a bordo o esistenti ma assoggettati a modifiche che possano aver variato la composizione delle emissioni gassose. Gli accertamenti possono avvenire con motore a terra, in laboratori appositamente attrezzati, ovvero direttamente a bordo, per la quale operazione oggi esistono però poche officine che dispongano delle attrezzature e delle connessioni necessarie.
L’idoneità deve essere attestata per ciascun motore con dichiarazione rilasciata dal costruttore o da chi ha eseguito gli accertamenti; tenuto conto della non rarità di casi del genere si segnala che per motori di fabbricazione statunitense si ritengono soddisfacenti dimostrazioni di conformità delle emissioni di gas derivanti da accertamenti eseguiti in U.S.A., ove le norme al riguardo sono non meno impegnative di quelle europee.
L’accertamento di conformità alla norma delle emissioni acustiche può riguardare motori installati o da installare sulle imbarcazioni, unità singole o “boat family” per le quali ultime l’accertamento viene fatto per una imbarcazione (master boat) e vale entro determinati limiti anche per unità similari.
Per i motori fuoribordo e entrofuoribordo provvisti di scarico integrato di costruzione, l’attestazione di idoneità del fabbricante è sufficiente per l’accettazione, mentre occorre eseguire le prove previste con unità in navigazione qualora i condotti di scarico siano stati realizzati a parte. Per i motori entrobordo, per i quali si verifica in genere la seconda delle condizioni ora precisate, debbono essere effettuate le prove regolamentari in acqua.
Queste ultime debbono avvenire con unità in determinate condizioni di carico ed assetto, alla velocità massima possibile ma comunque non superiore a 70 km/ora, eseguendo sette passaggi di andata e ritorno alla  distanza dovuta dall’apparato misuratore del rumore, la cui funzionalità deve essere accreditata da idonea documentazione.

L’accertamento delle emissioni acustiche non è necessario se per l’unità si ha:

Fn < 1,1 e P/D < 40 in cui:

Fn = numero di Froude = V / √ 9,8 LWL

V = velocità massima, in m/sec

LWL = lunghezza al galleggiamento, in m

D=dislocamento a pieno carico, in t

P= potenza
dell’apparato motore, in kW.

Si può osservare che il valore fissato per il rapporto P/D praticamente esclude dalla necessità della verifica le barche a vela anche con motore ausiliario.
Nel caso di sostituzione dell’apparato di propulsione su di un motoscafo con motore entrobordo, occorre verificare anche l’idoneità dell’asse portaelica di ciascuna linea d’assi, e ciò deve avvenire avendo presenti le indicazioni fornite con la Comunicazione di servizio relativa, datata 20.7.2012.

B) Sulla struttura dello scafo e alcuni richiami in materia di saldatura e corrosione
Se è vero che, specie sulle unità di minori dimensioni, non sono esattamente noti i carichi e le sollecitazioni che agiscono sulle strutture, e che pertanto la calcolazione è in larga misura affidata a termini ricavati empiricamente e suggeriti dai risultati di costruzioni precedenti, a maggior ragione la tipologia strutturale ed i dettagli costruttivi debbono esser tali da non creare ulteriori motivi di dubbio o favorire l’innesco di azioni indesiderate
Si abbia presente che sulla certamente complicata struttura navale vengono a scaricarsi forze disparate di cui non pare inopportuno far seguire una rassegna, sicuramente non completa:

sul fondo dello scafo:

  • carico idrostatico
  • pressione indotta dalla velocità
  • eventuale carico di sostentamento dinamico
  • azioni di “slamming”
  • sforzi di alaggio e varo
  • carichi trasmessi dai motori
  • carichi trasmessi da derive ed altre appendici
  • sforzi per sostegno di alberatura
  • urti o strisciamenti sul fondo marino

sui fianchi dello scafo:

  • carico idrostatico
  • azioni di “slamming”
  • urti o strisciamenti in banchina
  • azioni dei venti
  • eventuale sostegno di attrezzature per velatura

sulle strutture di prora:

  • azioni di sostegno di attrezzature diverse
  • urti contro altri natanti o attrezzature fisse
  • sforzi di ormeggio

sulle strutture di poppa:

  • carico idrostatico
  • carichi trasmessi dai propulsori
  • sforzi di sostegno per eventuale motore fuoribordo
  • sforzi trasmessi dagli organi di governo
  • azioni di sostegno di attrezzature diverse
  • urti accidentali

sui ponti:

  • carichi per sistemazioni sovrastanti
  • carichi dei passeggeri
  • eventuale carico trasportato
  • eventi atmosferici
  • sforzi trasmessi da urti dello scafo
  • pressione carichi liquidi nelle casse

sulle paratie:

  • pressione dei carichi liquidi
  • carichi trasmessi da altre zone dello scafo
  • sforzi per sostegno zone sovrastanti

sulle sovrastrutture:

  • eventi atmosferici
  • impatto per onde in coperta
  • carichi dei passeggeri
  • azioni del vento
  • carichi di sostegno delle sistemazioni.

In tali prospettive, la corretta adozione di un determinato materiale impone che di esso si conoscano caratteristiche e condizionamenti d’impiego, e perciò che, come purtroppo ancora talvolta non avviene, non si pretenda di adottare, nell’uso di materiali magari di non tradizionale concezione, accorgimenti e particolarità costruttive propri di materiali di cui si è fatta esperienza precedentemente ma aventi da essi diversa fisionomia tecnologica.
E per restare nel campo più specifico delle unità da diporto, varrà quindi la pena di soffermarci su quelle che sono le esigenze di impiego di cui occorre tener conto nella progettazione di uno scafo con l’uso di due tipologie di materiali, la vetroresina, già ampiamente adottata nelle costruzioni di cui trattasi, e l’acciaio inossidabile, di cui si auspica da tempo un più esteso impiego per sue preziose caratteristiche intrinseche, ma che ha trovato sinora impedimenti di varia natura. Tra l’altro, questi due tipi di materiali hanno in comune una caratteristica che non facilita l’uso razionale di essi al limite delle sollecitazioni ammissibili (come potrebbe suggerire un criterio di sana metodologia progettuale): non è per essi individuabile un limite di snervamento ben definito, il che impone di operare in campi nei quali non ci si discosti eccessivamente dalla perdita di  proporzionalità tra carichi applicati e allungamenti.

NOZIONI  E  SIMBOLOGIA  SULLA  SALDATURA  ELETTRICA

Nella costruzione di unità metalliche, il collegamento necessario tra i diversi pezzi di esse è oggi eseguito quasi esclusivamente mediante processi di saldatura elettrica: noi accenneremo qui solo agli aspetti che concernono i particolari d’impiego ed alla verifica del giunto ai fini dell’accertamento della rispondenza ai requisiti della normativa.
La saldatura elettrica è un procedimento di saldatura per fusione nel quale il calore è fornito da un arco voltaico che si crea al passaggio di una corrente elettrica attraverso un gas ionizzato. Gli elettroni emessi da un polo negativo (catodo) ad alta temperatura, bombardano il polo positivo (anodo) ad altissima velocità; l’urto del loro passaggio attraverso il gas che li divide produce le ionizzazione delle molecole di questo, con la formazione di ioni positivi che tendono a migrare verso il polo di carica opposta (catodo). Dallo scontro violento degli ioni con gli elettroni emessi da quest’ultimo si origina una neutralizzazione delle cariche e lo sviluppo di una grande quantità di calore che fornisce l’energia necessaria per l’adescamento del fenomeno di emissione termica degli elettroni, che si mantiene automaticamente con il trasporto di materiale fuso. Perché l’arco scocchi sono necessarie determinate condizioni di distanza tra i poli, temperatura, tensione elettrica, intensità di corrente, che variano a seconda dei materiali che debbano essere collegati.
Esistono oggi numerosi procedimenti per realizzare il giunto saldato, ma nella pratica costruttiva che ci interessa si impiega normalmente il procedimento ad arco diretto, cioè con l’arco che scocca direttamente tra un elettrodo ed il metallo base, ciò che può avvenire:
con elettrodo fusibile, quando l’elettrodo è costituito dal metallo di apporto
con elettrodo refrattario, che non fonde alla temperatura di saldatura ma il metallo di apporto è fornito da una bacchetta o filo inseriti con la punta nell’arco.
Si può saldare con arco in corrente continua o in corrente alternata, a seconda dell’alimentazione, e la saldatura può essere:

  • manuale, quando il saldatore regola manualmente posizione e movimenti dell’arco,
  • automatica, quando una macchina provvede all’alimentazione elettrica ed ai movimenti dell’elettrodo,
  • semiautomatica, quando una macchina provvede all’alimentazione mentre un operatore cura le posizioni dell’elettrodo.

Per garantire la rispondenza dell’opera ai requisiti richiesti è importante che le saldature vengano eseguite da personale qualificato e mediante procedimenti anch’essi qualificati; le norme europee riguardanti dette qualificazioni sono principalmente le UNI EN 287/1 e UNI EN 1418 sulla qualifica dei saldatori, e la UNI EN ISO 15614-1 per i procedimenti di saldatura. Le norme tecniche fornite dalla unificazione europea relativamente alle saldature sono però numerosissime, ed oltre alle già citate si vuole ricordare la UNI EN ISO 4063 e la UNI EN 22553 che forniscono ragguagli sulle modalità di indicazione delle saldature sui disegni.

 CORROSIONE  DEI  METALLI   E  PROTEZIONE  RELATIVA

Per quanto concerne lo scafo delle unità navali del diporto, i materiali dei quali dobbiamo occuparci sono essenzialmente l’acciaio, la lega leggera e l’acciaio inossidabile.
Per l’acciaio si distinguono principalmente due tipi di corrosioni:
–  l’ossidazione chimica tra ferro e ossigeno, con produzione di ossido di ferro (ruggine)
– la corrosione galvanica, o elettrochimica, che può essere provocata sia dagli agenti       atmosferici sia dalla presenza di elettroliti.

Dal primo pericolo ci si difende con la pitturazione, la buona riuscita della quale presuppone una perfetta pulitura delle superfici da trattare, per asportare sia la calamina che si sia formata in sede di laminazione del prodotto, sia la ruggine: il mezzo migliore per ottenere una perfetta pulizia delle superfici è oggi la sabbiatura a mezzo di apparecchiature apposite, che possono realizzarlo per via umida o, con più consoni risultati, a secco. Nel caso di superfici sabbiate in ambienti umidi o che debbano permanere per qualche tempo senza pitturazione è opportuno effettuare, prima di applicare la mano di fondo, un pretrattamento con  “wash primer” costituito da una composizione che forma sulla superficie metallica una sottile pellicola protettiva.
I rivestimenti successivamente applicati a pennello, a rullo od a spruzzo, a seconda dei casi, proteggono l’acciaio mediante una barriera limitata alle caratteristiche del film applicato, in genere a più mani sino a raggiungere lo spessore protettivo che si desidera. La temperatura ambiente e quella delle superfici da trattare devono essere mantenute, durante l’applicazione, entro  i termini stabiliti dal produttore delle vernici.
La corrosione galvanica si verifica principalmente, nel caso degli scafi immersi, in presenza di due elementi a diverso potenziale elettrolitico, poiché la corrosione si verifica quando esistono quattro elementi: l’elettrolito, il catodo, l’anodo ed un circuito di ritorno costituito dall’acqua salata: la corrosione si verificherà sull’anodo, cioè sul materiale maggiormente elettropositivo, che nel caso specifico è in genere l’acciaio.
I metodi con cui ci si oppone al verificarsi del fenomeno dannoso costituiscono la protezione catodica, a proposito della quale si possono citare le  norme di riferimento unificate in sede europea UNI EN 12473 , 12495 , 12954.  Di tale protezione si possono distinguere il sistema ad anodi sacrificali ed il sistema a corrente impressa.
Nel sistema ad anodi galvanici  sacrificali la struttura da proteggere è collegata elettricamente a pannelli di materiale meno nobile nella scala dei potenziali, generalmente di zinco nel caso degli scafi di acciaio, che vengono a costituire l’anodo della coppia galvanica, e quindi sacrificando se stessi riducono od annullano la corrosione dal catodo, cioè la lamiera dello scafo.
La corrente antagonista che porta all’inversione delle polarità può anche essere ottenuta con una alimentazione esterna, mediante il sistema detto a corrente impressa: il polo negativo di un generatore di corrente viene collegato al materiale da proteggere, costituendo il catodo, ed il polo negativo ad un materiale inerte, ed immettendo una corrente di intensità, previamente calcolata sulla base di misure della differenze di potenziale da effettuarsi mediante l’uso di elettrodi di riferimento, è possibile evitare la corrosione dello scafo costituente anodo.
Le leghe leggere non risentono della corrosione ambientale con l’intensità degli acciai, in quanto si forma sulla loro superficie uno strato di ossido perfettamente aderente che inibisce la prosecuzione di ogni azione corrosiva. L’ossido è però di difficile asportazione prima della verniciatura, per cui è opportuno predisporre una mano di un primer decapante che, oltre a rimuovere l’ossido crea una micro rugosità utile per il successivo deposito della vernice. Dopo un abbondante lavaggio con acqua si potrà procedere alla deposizione delle pitture.
Occorre però aver presente che le leghe di alluminio in acque marine sono soggette ad una intensa azione galvanica se trovansi in prossimità di altri materiali più elettropositivi, anche solo di scafi di acciaio ormeggiati a breve distanza. E’ quindi essenziale innanzitutto l’uso di idonee vernici protettive che evitino il contatto diretto con l’elettrolita (l’acqua): ma siccome inevitabilmente si produrranno in esercizio zone di carena scoperte, per difetto di ancoraggio della vernice, abrasioni, contatti esterni, e simili, è necessario provvedere ad un efficace sistema di protezione galvanica con uno dei modi in precedenza esposti. In questo caso l’anodo sacrificale è preferibilmente costituito da magnesio, più lontano dello zinco dalla lega leggera nella scala dei valori di potenziale. Per tener conto della facile degradabilità della lega per azione galvanica, è necessario procedere ad un accurata pitturazione con una mano di fondo anche all’interno dello scafo.
Sull’acciaio inossidabile austenitico, al CrNi, in qualche caso usato per la costruzione degli scafo di unità da diporto, l’acqua di mare in movimento, come abbiamo visto in precedente capitolo, ha una bassissima capacità di corrosione; questo acciaio, semmai, ha qualche tendenza a formare vaiolature localizzate sul cui fondo, od entro interstizi costruttivi, possono verificarsi corrosioni anche profonde. Avendosi caratteristica di elettropositività superiore ai due materiali di cui si è trattato in precedenza, l’acciaio inossidabile può giovarsi di entrambe le tipologie di protezione catodica prima esaminate; ne consegue pure che ove (errore di progettazione da evitare) ci si trovi in presenza di una combinazione di strutture immerse di acciaio inox e di uno degli altri due materiali, sarà inevitabilmente l’acciaio ordinario o, ancor di più, la lega leggera a sopportare i guasti della corrosione galvanica.

C) Sugli accertamenti relativi alla sicurezza delle  unità in  servizio

Le unità da diporto iscritte nel Registro tenuto dall’Autorità per l’aviazione civile e la navigazione marittima della Repubblica di San Marino, sono soggette all’esecuzione di visite iniziali, ai fini dell’iscrizione e del rilascio del certificato di sicurezza, e di visite periodiche e occasionali relative alla persistenza delle  condizioni di sicurezza della navigazione.

Gli accertamenti tecnici sopra citati e gli altri  che si rendano necessari nel corso della vita delle unità,  si eseguono sulla base delle norme dell’Istituto, compilando i relativi rapporti esposti nei fascicoli aziendali.

Per le visite iniziali e le visite periodiche valgono le procedure:

  • PS01-RSM  (rilascio del Certificato di sicurezza)
  • PS02-RSM (rinnovo del Certificato di sicurezza)

 

Ad integrazione della normativa relativa al sistema di esaurimento della sentine e del sistema fisso antincendio ed estintori portatili, per le sole unità marcate CE, occorre attenersi anche ai capitoli n. 1 e 2 del vigente Regolamento tecnico aziendale.

NOTA PER GLI ACCERTAMENTI SU IMBARCAZIONI
Le visite periodiche per il rinnovo del Certificato di sicurezza di imbarcazioni, che di norma richiedono visite all’unità a secco e, in alcuni casi, anche in galleggiamento, possono essere limitati a quanto necessario con scafo galleggiante a giudizio dell’ispettore sulla base delle condizioni constatate con l’unità in acqua.

Sulla data e località dei sopralluoghi tecnici da eseguire, c.d. “Calendario di Visite”, non è necessario dar comunicazione ad alcun ufficio della Pubblica Amministrazione sammarinese e, tantomeno, ufficio estero (Consolato, Capitanerie italiane, ecc.).
I sopralluoghi possono essere eseguiti contestualmente alla presentazione della richiesta di visita da parte del proprietario/armatore/rappresentante dell’unità.

In ogni caso, la Direzione può essere preliminarmente informata dei sopralluoghi, se ciò sia ritenuto opportuno dall’ispettore.

I DOCUMENTI

 

LA PROCEDURA PER L’ESECUZIONE DELLE VISITE INZIALI, PERIODICHE E OCCASIONALI

Il seguente diagramma di flusso fornisce e indicazioni procedurali per l’esecuzione delle visite di rinnovo.

ADDENDUM

INTRODUZIONE
Nella trattazione che segue vengono esposte, in forma piuttosto elementare, nozioni di base per la conoscenza di particolarità e caratteristiche dei cinque tipi di materiali con i quali principalmente si costruiscono oggi le unità da diporto, sia nel settore della nautica minore (natanti e imbarcazioni) sia quando ci si riferisca ad unità di maggior tonnellaggio (yachts e navi da diporto). Le informazioni così fornite attengono, più che alle operazioni di accertamento che sono specifiche per gli ispettori degli Organismi di certificazione in generale, all’apprendimento delle caratteristiche dei materiali e dei loro sistemi di produzione, e questo perché si ritiene che non si possa dare completa affidabilità alle verifiche degli scafi costruiti o in costruzione senza che si conoscano, almeno approssimativamente, le modalità di realizzazione dei materiali da cui gli scafi sono costituiti e le conseguenze che esse apportano alle loro caratteristiche ed alle reazioni di questi alle lavorazioni ed alle sollecitazioni in esercizio. Ciò vale in particolare anche per le modalità di saldatura degli scafi in metallo, poiché il loro intervento nella costruzione incide in maniera determinante sulle risultanti caratteristiche resistenziali dell’opera.

Mazzino Bogi

IMPIEGO DELLA PLASTICA RINFORZATA

Su questo argomento, per quanto concerne il materiale di rinforzo ci riferiremo sempre alla “fibra di vetro” perché la più comunemente impiegata nelle costruzioni navali da diporto, ma i ragionamenti svolti debbono considerarsi validi anche per fibre di diverso materiale base (carbonio, kevlar, e simili) oggi sempre più presenti sul mercato.
Trattasi di un materiale avente caratteristiche radicalmente diverse da quelle che siamo soliti considerare nell’impiego dei metalli. Caratteristiche della cui considerazione spesso non si trova traccia nei disegni costruttivi che vengono elaborati e sottoposti all’esame degli organismi preposti al rilascio delle certificazioni previste dalla vigente normativa; si ha piuttosto l’impressione che di ciò si faccia come un implicito riferimento a cosa nota, il ché può talvolta indurre a soluzioni non pienamente confacenti con la sicurezza di esercizio.
Passeremo quindi in rassegna le caratteristiche più peculiari della vetroresina, considerandole però nella loro generalità, senza scendere in dettagli legati ai tipi di costruzione (fondamentalmente distinti tra costruzioni a semplice stratificazione e costruzioni a “sandwich”).
Essendo i laminati sostanzialmente costituiti dalla combinazione di due elementi con difformi proprietà e scopi (la resina e la fibra), al secondo dei quali è affidata prevalentemente la funzione resistenziale, è evidente che le proprietà meccaniche del composto sono strettamente legate alla quantità di fibra contenuta, la quale ha una maggiore incidenza sul costo del manufatto. Si abbia però presente che un laminato contenente una bassa percentuale di fibra di vetro pesa leggermente di più, per unità di superficie, di un laminato a maggior contenuto di fibra, e per raggiungere pari resistenza dovrà essere munito di una quota superiore di rinforzi strutturali, che hanno un costo percentualmente maggiore.

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Nella unita TAVOLA  1 (ricavata da “Fiber glass boat design and construction” di Robert  J. Scott) è riportato un grafico che consente di risalire alla percentuale di fibra contenuta nel laminato, se sia noto il rapporto tra i pesi del “roving” e del totale delle fibre.
Abbiamo già accennato alla mancanza di un preciso carico di snervamento nei laminati in vetroresina. In pratica, la relativa curva di prova si sviluppa quasi rettilineamente tra l’origine ed il carico di rottura, ovverosia la vetroresina ha un comportamento elastico sino al punto di rottura mancando quindi di un’area di azione plastica; però assai scarsa è la duttilità del materiale, avendosi allungamenti a rottura dell’ordine di 1 – 2%, neppure comparabili con quelli dei metalli impiegati per lo stesso scopo, che possono essere anche 20 volte maggiori. Tale caratteristica può assumere rilevanza in caso di collisione, per la incapacità della struttura di rispondere plasticamente all’impatto.
Di ciò è necessario tener conto nella progettazione e nella considerazione dei gradi di sicurezza, e se si aggiunge che il modulo di elasticità di uno stratificato in vetroresina è molto basso e quindi bassa la sua rigidità, per cui le frecce di inflessione in strutture di pari resistenza alle sollecitazioni sono maggiori che nei metalli, mentre alto è il rapporto dei valori di resistenza a trazione rispetto al peso, se ne deduce che occorre progettare più avendo riguardo alla rigidità che alla resistenza a trazione. Questo si traduce, ad esempio, nella necessità di porre particolare attenzione ai rinforzi strutturali ed al loro distanziamento per evitarne l’instabilità, e nell’opportunità di adottare pannelli curvi ove possibile. Quale conseguenza di una  inadeguata progettazione al riguardo si possono anche avere eccessivi scorrimenti in alcuni giunti o flessioni inaccettabili sugli allineamenti delle linee d’assi.
Altro elemento da tenere in considerazione è la anisotropia del laminato, le cui proprietà resistenziali variano radicalmente nella direzione delle fibre di vetro rispetto a quelle in direzione  inclinata o addirittura ortogonale, nel quale ultimo caso la capacità di resistere alle sollecitazioni è costituita da quella della semplice resina. Pertanto le fibre dovranno essere per quanto possibile orientate nella direzione degli sforzi principali: ma questi ultimi, nelle imbarcazioni, hanno raramente direzione costante e predeterminabile, per cui è da escludere l’adozione di laminati unidirezionali, le cui capacità di resistere agli sforzi  non rispondono alle necessità di sicurezza.
Nella TAVOLA  2 (ricavata da “Manuale delle resine poliestere” della SAVID S.p.A., di Como) alcuni grafici mostrano come variano modulo di resistenza e resistenza a trazione di uno stratificato in vetroresina con il variare del suo contenuto in fibre. Più in dettaglio viene evidenziato il diverso comportamento del laminato a seconda della direzione degli sforzi nei grafici delle TAVOLE  3 , 4, 5  (ricavati da documenti della  Owens-Corning Fiberglass Corporation); in queste la scala delle ascisse è espressa in libbre per pollice quadrato (1 psi = 0.0703 kg/cm2) e si possono rilevare i valori molto elevati della resistenza a trazione nei laminati di fibra di vetro.
Non ancora ben definito a causa del limitato periodo di impiego delle relative costruzioni e della complessità del fenomeno in una struttura estremamente variegata quale può trovarsi in un’imbarcazione, è il comportamento a fatica del materiale in questione, Pare comunque accertato che la resistenza a fatica di un laminato plastico sia sostanzialmente inferiore a quella opposta da un manufatto in metallo; un orientamento sui comportamenti  di materiali diversi a questo riguardo può essere dato dal grafico di TAVOLA 6 che raffronta il comportamento a fatica di un laminato plastico con l’acciaio e l’alluminio.

 

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IMPIEGO DELLE LEGHE LEGGERE

Diciamo subito che troppo spesso, anche da parte di tecnici di un certo rilievo, nel parlare comune si indicano imbarcazioni costruite in “lega leggera” come costruite in “alluminio”. E’ quest’ultimo un metallo particolarmente esposto alla corrosione, e quindi non idoneo a garantire un minimo di durata di uno scafo (o di altri particolari) destinato a permanere esposto all’aggressiva azione dell’ambiente marino. Per rispondere a questa esigenza si deve ricorrere quindi all’impiego delle leghe di alluminio o “leghe leggere” che,  mantenendo come elemento preponderante l’alluminio e presentando perciò un peso specifico molto più basso di quello degli acciai (2700-2800 kg/m3, contro 7850 kg/m3 dell’acciaio) acquistano la necessaria resistenza alla corrosione formando leghe binarie con un elemento aggiuntivo, conservando proprietà adatte ai processi di lavorazione plastica necessari per la costruzione di un’imbarcazione, quali laminazione, trafilatura, estrusione. Tali leghe sono anche definite bonificabili o non bonificabili, a seconda che siano suscettibili di lasciar migliorare le proprie caratteristiche sotto l’azione del calore.
Sempre la  già citata UNI EN ISO 12215-3 fornisce indicazioni per la costruzione di unità da diporto con l’impiego di leghe di alluminio.
Le leghe leggere più note sono quelle che si hanno nelle serie Al-Mg (peraluman), Al-Cu (duralluminio), Al-Mn (avional), Al-Si (anticorodal), ma nel campo navale si usa pressoché esclusivamente il peraluman con percentuali di Mg fra il 3 ed il 7 %, che allo stato ricotto ha buone qualità meccaniche, elevata duttilità e buona saldabilità, oltre ad una notevole resistenza alla corrosione in ambiente atmosferico (è però soggetta a facile azione galvanica, fenomeno cui accenneremo in capitolo separato); rispetto allo stato ricotto, l’incrudimento a freddo ne migliora la caratteristiche meccaniche.
Le leghe leggere vengono distinte da sigle costituite da 4 numeri, di cui il primo individua la serie e i successivi la percentuale degli elementi che le costituiscono, eventualmente seguiti da lettere che ne precisano i trattamenti a caldo: il peraluman risponde alla serie 5000, e i trattamenti sono indicati F (grezzo di colata), H (indurito per deformazione a freddo), O (ricotto).
La saldabilità delle leghe leggere è ostacolata dalla facile ossidabilità dell’alluminio, il cui sesquiossido (Al2O3), che si forma in una sottile pellicola per la sola esposizione all’aria, è difficilmente rimuovibile, e dalla loro elevata conducibilità termica, che diffonde il calore sottratto al processo di saldatura con possibili alterazioni del metallo base; le difficoltà debbono pertanto essere superate con l’adozione di sorgenti di calore potenti e concentrate mediante idonee apparecchiature cui si farà cenno nel capitolo riservato alla saldatura.
Essendo queste leghe caratterizzate da un modulo di elasticità molto basso (poco più di un terzo degli acciai da costruzione) nella progettazione occorre tener conto della maggior flessibilità, fenomeno che, cumulandosi alla minor resistenza rispetto agli acciai, richiede l’adozione di spessori maggiorati per cui, in linea generale, il peso di particolari in lega leggera rispetto ad equivalenti in acciaio può essere considerato all’incirca pari alla metà. La particolarità ora citata può costituire elemento  di favore quando si debbano sovrapporre parti in lega leggera (ad esempio una sovrastruttura) a parti in acciaio: essendo le prime più elastiche verranno meno caricate dalle sollecitazioni con una miglior distribuzione di queste.
Dovendosi talora collegare assieme parti in lega leggera con parti in acciaio è necessario evitare che le azioni galvaniche che si producono in ambiente con acqua salata deteriorino rapidamente i particolari meno elettropositivi, ossia nel caso particolare quelli in lega leggera: si debbono quindi escludere contatti diretti, interponendo tra i due metalli vernici particolari o nastri in neoprene, oppure impiegando barre bimetalliche formate da elementi dei due materiali resi compenetranti e che consentono quindi di eseguire giunti saldati con entrambe le parti.
Le caratteristiche generiche delle leghe leggere sono molto migliorate negli ultimi decenni, sì che mentre un tempo si ritenevano poco affidabili, oggi la corretta produzione e la corretta progettazione consentono la massima fiducia nei prodotti; non si può però non ripetere il concetto che la buona riuscita nell’impiego di un materiale diverso da quanto in uso precedentemente richiede la piena considerazione delle mutate caratteristiche tecnologiche e comportamentali: nel caso in esame, ad esempio, il problema della resistenza alle sollecitazioni a fatica è talvolta fondamentale e può costituire criterio alla base del dimensionamento e della forma di una struttura.

Sulla  saldatura  delle  leghe  leggere
La saldatura delle leghe leggere, ed in particolare delle leghe contenenti magnesio, quale il peraluman normalmente usato nella nautica, è resa difficile dalla formazione di una pellicola superficiale di ossido di alluminio di difficile superamento e rimozione, per cui si può richiedere l’uso di flussi particolari che la riducano o la scorifichino. Inoltre, l’elevata conduttività termica del materiale causa un  notevole assorbimento di calore da parte delle zone circostanti, con alterazione delle caratteristiche metalliche del metallo, per la cui riduzione necessita di operare con sorgenti di calore potenti e concentrate. Se si aggiunge che è frequente la formazione di soffiature e porosità, a causa della solubilità dell’idrogeno nell’alluminio, appare evidente la necessità di esecuzione con operatori specializzati nella saldatura delle leghe leggere.
Poiché la zona termicamente alterata riduce quell’incrudimento del materiale base che gli induce una più elevata resistenza, è opportuno adottare leghe di apporto di più elevato tenore di Mg, garantendo così un più elevato carico di rottura.
In linea generale la saldatura comporta anche una riduzione nella capacità del giunto saldato di resistere agli attacchi corrosivi, cui ci si può opporre con l’uso di materiale di apporto di alta purezza e composizione per quanto possibile simile al materiale base.
Per ridurre gli inconvenienti prevedibili e migliorare le caratteristiche resistenziali del giunto, oggi si opera prevalentemente con saldatura ad arco in atmosfera di argon, deputato quest’ultimo a proteggere contro la formazione di allumina, cioè della scoria resistente, impedendo all’aria di venire in contatto con il bagno di fusione.
Si possono usare sia elettrodi fusibili (che forniscono quindi il materiale di apporto) sia non fusibili in tungsteno: si ha nel primo caso una maggior velocità di esecuzione ed una riduzione della superficie termicamente alterata. Il procedimento, oltre che manualmente, può avvenire in forma automatica (con saldatura solo in piano) o semiautomatica, con apparecchiatura che controlla durante l’esecuzione i parametri di saldatura (in particolare tensione e amperaggio della corrente).
Come norme procedurali da avere sempre presenti occorre raccomandare la tenuta degli elettrodi in ambiente asciutto, caldo e ventilato, la sgrassatura e la pulitura meccanica dei lembi da saldare mediante spazzola metallica per l’asportazione dell’allumina, ed una preparazione per i giunti di testa (unico tipo da adottare per gli spessori prevedibili nelle piccole e medie costruzioni) a lembi retti a contatto sino a spessori di lamiera di circa 2 mm, con lieve distacco per spessori maggiori sino a circa 6 mm, per passare a lembi cianfrinati a V 60°  per spessori superiori sino a 15 mm.

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PROCESSI  DI  FABBRICAZIONE  E  PROVE  MECCANICHE  DEGLI  ACCIAI

E’ noto quali sono i principali processi industriali per la produzione degli acciai, dei quali possiamo esporre in rapida sintesi pregi e difetti.
Procedimento Bessemer acido: a causa del rivestimento acido del convertitore risulta difficoltosa l’eliminazione a mezzo scoria basica delle impurezze di zolfo e fosforo (ad esempio, il silicio del rivestimento sposta dai fosfati l’anidride fosforosa che, riducendosi, restituisce il fosforo sotto forma di fosfuri); si presta quindi solo per ghisa proveniente da materiali assai puri, o come stadio intermedio di fabbricazione in procedimenti duplex, cioè nei procedimenti che prevedonoi l’affinazione finale in forno basico; l’acciaio, in conseguenza al processo stesso di fabbricazione (con soffiaggio d’aria attraverso la massa fusa) contiene quantitativi di ossigeno e azoto piuttosto elevati.
Procedimento Thomas: è anch’esso ottenuto al convertitore: il rivestimento basico permette però di operare convenientemente per la riduzione delle impurezze; si può quindi usare ghisa proveniente da materiali meno puri ed è pertanto più largamente impiegato del precedente. Anche con questo procedimento si ha però un acciaio contenente quantitativi di ossigeno e azoto abbastanza accentuati: sotto effetto dell’incrudimento per lavorazione a freddo è soggetto a maggiori cadute di allungamento, strizione e resilienza e deve quindi escludersi nelle costruzioni ove necessitino deformazioni plastiche a freddo con possibili riscaldamenti locali, tempre localizzate, intagli e simili. Presenta inoltre abbastanza spiccate proprietà di invecchiamento (per precipitazioni ultradisperse di carburi e azoturi) che, pur non alterando sensibilmente le caratteristiche di resistenza, ne abbassano pericolosamente la resilienza.
Procedimento Martin Siemens: può essere a rivestimento acido (silicioso), basico (magnesiaco) o neutro (cromite): più usato è il basico, che permette la riduzione di materiali più impuri; per la spinta affinazione e le intense reazioni che si svolgono tra acciaio e scorie (regolabili a piacere) garantisce la produzione di acciai molto puri e ben disossidati.
Procedimenti al forno elettrico: sono i più avanzati tecnologicamente perché permettono il miglior controllo delle operazioni di affinazione ed evitano l’apporto di impurezze dovute al combustibile, assicurando la produzione di ottimi acciai.
Gli acciai prodotti con i primi due procedimenti hanno oggi scarso impiego nelle costruzioni navali, salvo per acciai al convertitore migliorati con insufflazione di ossigeno od aria arricchita di ossigeno, che garantiscano comunque caratteristiche di invecchiamento, resilienza, resistenza alla corrosione, saldabilità, impurezze non inferiori a quelle dei migliori acciai.
Particolare attenzione deve essere posta agli acciai per uso navale, trattandosi sempre di impiego in strutture saldate, per i quali debbono perciò essere garantite caratteristiche meccaniche e composizioni chimiche entro limiti più restrittivi, per evitare conseguenze dannose sul comportamento in servizio. In particolare si guarda a ridurre le probabilità di rotture fragili tenendo nel debito conto quelli che sono i principali fattori atti a determinarle sia in produzione che in esercizio, quali la composizione chimica, le dimensioni del grano, la temperatura di esercizio, la concentrazione di sollecitazioni, le tensioni triassiali, ecc.
Per la composizione chimica sono fondamentali i criteri che debbono guidare la scelta dei limiti degli elementi costitutivi, avendo presente che:

  • il C se in percentuali piuttosto elevate, è un elemento temprante e tende quindi a rendere dura la zona termicamente alterata dalla saldatura, e suscettibile di cricche la saldatura,
  • il Mn è esso pure un elemento temprante, ma in minor misura del C, e la sua presenza è utile quale disossidante e depurante; un suo elevato rapporto con la quantità di C agisce favorevolmente sulla temperatura di transizione dell’acciaio,
  • il Si è notevolmente temprante, ma nei quantitativi limitati in cui generalmente è presente, è essenzialmente elemento usato a fini metallurgici quale disossidante e calmante,
  • S e P sono impurezze, indesiderabili ma purtroppo sempre presenti negli acciai, e la loro azione si esercita soprattutto nel rendere la saldatura più suscettibile alle crine (rispettivamente a caldo e a freddo),
  • N tende a precipitare sotto forma di nitruri di ferro ed è quindi causa di infragilimento e di tendenza all’invecchiamento.

Per accertare l’idoneità di un acciaio a sopportare le sollecitazioni cui sarà soggetto in esercizio non sono sempre sufficienti le normali prove di trazione, allungamento e piega, e si può ricorrere a prove tecnologiche più raffinate per strutture saldate soggette a sollecitazioni notevoli. Del resto non è neppure accertato che richiedendo acciai migliori per lamiere più spesse, queste si comportino in servizio meglio di lamiere più sottili di acciaio meno pregiato, per cui si pone il problema di quale prova, senza essere di dimensioni eccessive, sia meglio indicativa del comportamento dell’acciaio in servizio.
Una prova che fornisce buoni ragguagli in proposito è ritenuta la prova di resilienza Charpy che si effettua su una provetta di mm 55x10x10, su cui è ricavato un intaglio trasversale, che può essere di due tipi:

  • intaglio ad U, profondo 5 mm e terminante a sezione circolare con raggio di un millimetro
  • intaglio a V, con apertura di 45°, profondo 2 mm e terminante con raccordo circolare di raggio 0,25 mm.

Obbiezione che si fa al primo tipo è che l’intaglio non risulta abbastanza severo, per cui non mette sufficientemente in evidenza il fenomeno della transizione delle caratteristiche all’abbassarsi della temperatura, mentre  sulla provetta stessa viene osservato che è troppo piccola e le sue dimensioni non variano con lo spessore del materiale in prova, per cui non ne è messa in evidenza l’influenza e le indicazioni sulla duttilità sono in relazione con le sole proprietà metallurgiche, così come essa non appare la più adatta a mettere in evidenza la tendenza o meno di un acciaio a propagare la rottura fragile. Per migliorarne il valore indicativo viene suggerito che i valori di resilienza ammissibili crescano con lo spessore della lamiera o che le prove vengano eseguite a temperature decrescenti con lo spessore, anche se è riconosciuto che la prova Charpy è di una certa efficacia poiché quanto più elevate sono le risultanze richieste alla prova, tanto migliori devono essere stati, per il loro ottenimento, l’elaborazione ed il trattamento subiti dell’acciaio.
Il problema dell’accuratezza nel progetto e nella costruzione di una nave ai fini della sua sicurezza non deve mai essere sottovalutato, ma in una struttura saldata così complessa anche un buon acciaio rappresenta un fattore determinante; è infatti inevitabile che  si presentino non poche discontinuità ed intagli da cui possono partire crine che, se non efficacemente contrastate dall’attitudine dell’acciaio a resistervi, darebbero luogo, in strutture eminentemente monolitiche, al fulmineo propagarsi della frattura all’intero corpo della costruzione. Si è quindi imposta la necessità del collaudo degli acciai per strutture saldate a mezzo di provini che avvicinassero in laboratorio le condizioni di esercizio e la necessità di una esatta interpretazione del risultato delle prove al fine di trasferire i dati dal laboratorio al vero. Inoltre, la maggior frequenza di incidenti a basse temperature ha imposto di cercare di definire per  ogni acciaio la temperatura in cui le sue caratteristiche più significative passano in transizione, ossia la temperatura (o il campo di temperature) alla quale la variabile che si considera (carico di rottura, resilienza, strizione o simili) passa da valori alti a valori inferiori.
Sono stati perciò studiati numerosi tipi di provini, trattandosi di una materia  sempre in evoluzione e quindi soggetta a sviluppi più recenti.

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